Con uno stoicismo veramente encomiabile, il nostro Presidente, Carla Liguori (ci si deve adeguare alle dizioni odierne), dopo soli sette giorni dalle dimissioni dall’ospedale, ha voluto presiedere la riunione di Magna Grecia dedicata ad una corrente importantissima nell’evoluzione artistica dello scorso millennio, quella del FUTURISMO.
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Il movimento nasce nel 1909 quando Filippo Tommaso Marinetti pubblica il Manifesto Futurista (Le Futurisme) su alcuni quotidiani dell'epoca, tra cui anche il francese “Le Figaro”. I critici transalpini tentarono di classificare la nuova tecnica pittorica come una derivazione dal “cubismo”, suscitando una furibonda reazione nei pittori futuristi (Carrà, Boccioni, Balla, etc.) che nel 1913 toccò il suo culmine prima con la pubblicazione dell’articolo “I Futuristi plagiati in Francia” firmato da Boccioni, e poi con la comparsa di vari scritti critici di Marinetti. Questa controffensiva, fondata su tesi inconfutabili, costrinse anche Apollinaire a riconoscere al Futurismo il merito di aver dato avvio al rinnovamento dell’arte europea.
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Ma, in cosa consiste la novità futurista? Il movimento nasce come reazione all’arte e alla poesia accademiche, giudicate statiche e noiose, lontane dalla vita moderna come si stava disegnando nelle città italiane anche grazie alle nuove tecnologie (es. la luce elettrica che permette di vivere la vita notturna, le prime automobili, il telegrafo e il sistema ferroviario).
I futuristi iniziano quindi a sovvertire i codici tradizionali, dando origine a un linguaggio provocatorio capace di narrare l’energia, la violenza e la velocità. A questo scopo tendono a fondere le immagini (o le parole) in quella che viene chiamata la simultaneità della visione.
È un movimento che esalta il gesto distruttore, la guerra, la velocità, esprimendo il disprezzo per la donna, i musei e le accademie. Suscita molte critiche ma sa smuovere le energie anarchiche e giovani di alcuni brillanti scrittori e artisti, per la maggior parte italiani.
Le futurisme di Marinetti è seguito da un’infinità di manifesti che si allargano a tutti i campi artistici, a tutti i settori creativi del tempo, quali: pittura, scultura, musica, danza, teatro, architettura, letteratura, scenografia, coreografia, cinema, moda, design, grafica pubblicitaria.
La città di Padova ha voluto riconoscere l’importanza di questo “nuovo modo di interpretare e vivere la realtà” dedicando una mostra all’arte futurista, aperta la scorso 1 ottobre a Palazzo Zabarella, e Carla, partendo da questa irripetibile opportunità di arricchimento culturale, ha voluto illustrare sinteticamente le caratteristiche salienti e la novità che promana da alcune delle opere esposte.
Seguono ora delle brevi notazioni sulle opere presentate da Carla, precisando che quanto scritto non è frutto del patrimonio culturale dello scrivente ma, partendo da quanto detto da Carla, è stato integrato con recenti, lunghe ricerche su INTERNET.
GIACOMO BALLA
Il vestito antineutrale:
L’opera è formata da due parti contrapposte: la parte critica e quella propositiva. Nei quattro punti della prima si riassume tutto ciò che i futuristi vogliono abolire nel vestito da uomo: i colori neutri, le forme gravi e scomode, l'armonia e la simmetria. Fra gli elementi da eliminare vengono espressamente nominati «I bottoni inutili. I colletti e i polsini inamidati.» Non si sa, però, se l'espressione «bottoni inutili» alluda all'abolizione solo dei bottoni inutili, oppure all'eliminazione di tutti i bottoni.
Negli undici punti della seconda parte vi è l'elenco, con le relative spiegazioni, delle caratteristiche che dovranno avere gli abiti futuristi. Dovranno essere: aggressivi; agilizzanti; dinamici; semplici e comodi; igienici; gioiosi; illuminanti; volitivi; asimmetrici; di breve durata «per rinnovare incessantemente il godimento e l'animazione irruente del corpo»; variabili «per mezzo dei modificanti (applicazioni di stoffa, di ampiezza, spessori, disegni e colori diversi) da disporre quando si voglia, su qualsiasi punto del vestito, mediante bottoni pneumatici. Il modificante sarà prepotente, urtante, stonante, decisivo, guerresco, ecc.»
Dinamismo di un cane al guinzaglio:
Il quadro riporta graficamente i risultati di una riflessione sul tema del movimento, tema molto caro all'autore. Qui viene rappresentato, come se si trattasse di una ripresa fotografica (a cui si riferisce anche il taglio della composizione): simultaneamente sono presenti sia le diverse immagini delle zampe e della coda del cane nella successione determinata dal moto, sia le gambe della padrona sia il guinzaglio oscillante. Attraverso il movimento, come attraverso la luce, si dissolve la materialità dei corpi, nonostante siano rappresentati realisticamente.
Lampada ad arco:
è un’opera realizzata con l’intento di indagare la natura della radiazione luminosa artificiale. Una lampada brilla nella notte. Dal vetro che protegge il filamento si sprigiona una intensa luminosità che si propaga a raggiera. La lampada è sorretta da una alta struttura metallica e si trova nella parte superiore del dipinto. A destra oltre l’alone creato dai tratti di colori puri, si intravede una falce di luna. Il colore della luna e quello della lampada ad arco sono gli stessi ma la lampada brilla in modo più intenso. La luce elettrica si frammenta in una serie di colori che coprono in parte la luna ponendola in secondo piano. L’alone luminoso è circoscritto da una cornice scura simmetrica ma irregolare. L’utilizzo di un soggetto banale e comune come una lampada elettrica fu una scelta non casuale di Giacomo Balla. Era infatti sua intenzione esaltare l’utilizzo dell’energia elettrica e dimostrare che vi era della bellezza anche nell’emissione luminosa di una lampada industriale. Lo stesso artista dichiarò che aveva voluto dimostrare la superiorità di un bagliore elettrico rispetto all’ispirazione prodotta da un chiaro di luna romantico.
UMERTO BOCCIONI
Studio di testa femminile:
In questo quadro l’autore rivela la sua segreta inclinazione per le scienze occulte. Come in una specie di ectoplasma, filamenti di colori avvolgono il volto della donna, che sembra venire fuori da una lingua di fuoco che lo convogliano nel buio, fuori dal quadro. Predominano, nel fuoco artificiale dei colori, lampi giallo-verdi, rossi e viola-blu. Da quest’opera si evince che Boccioni cerca di raggiungere effetti coloristicamente e luministicamente emozionali, senza cadere nello sdolcinato.
La città che sale:
l’opera rappresenta l’esaltazione della tecnologia, del nuovo e il dinamismo della moderna metropoli. In primo piano è rappresentato un cavallo, per quasi tutta la metà destra del dipinto. L’animale trascina un peso legato a delle briglie. Alcuni operai davanti a lui, di fianco e dietro assecondano e incitano il movimento in avanti. Di fronte a questo cavallo si trovano altri due cavalli uno bianco e uno rosso. Un operaio, a sinistra, frena, invece, il cavallo bianco che si trova opposto a quella in primo piano. Sullo sfondo ferve l’attività degli operai e si intravedono altri cavalli che trascinano i carichi. L’edificio, ancora in fase di costruzione è circondato dalle impalcature e svetta su tutte le figure. Per esprimere lo spostamento e la rapidità del movimento Boccioni ricorre alla fusione fra soggetto e ambiente attraverso un turbinio di colori e scie cromatiche.
Forme uniche della continuità dello spazio:
l’autore ha dato forma scultorea ad una figura umana in movimento, rendendo visibile la sua dinamicità con le scie di bronzo lasciate dietro gli arti. Nel rappresentare simbolicamente la fluidità del corpo umano l’autore respinge la scultura tradizionale per creare un’opera considerata uno dei capolavori del Futurismo. La grande intuizione di Boccioni fu quella di prendere il soggetto più venerato della tradizione occidentale dell’arte – la figura umana – frantumandolo e dividendolo in una ricostruzione astratta, con dinamiche sfaccettature e piani aggraziati, che sembrano compenetrare e fondersi nello spazio circostante. «Rovesciamo tutto — aveva scritto l’artista nel suo manifesto — e proclamiamo l’abolizione assoluta e completa delle linee finite». Compare così un’inedita concezione della forma umana, con valenze quasi meccaniche. Per inciso si sottolinea che nel novembre del 2019 la scultura è stata battuta all’asta da Sotheby’s e venduta per 16,1 milioni di dollari.
GIOVANNI SEGANTINI
Le ore del mattino:
Segantini viene considerato uno dei massimi pittori italiani dell’ottocento, interprete del Divisionismo e del Simbolismo ma, nel suo quadro “Le ore del mattino”, sembra anticipare alcune delle tematiche e delle linee di frattura care ai Futuristi. In particolare, se le pennellate che dipingono la neve che copre i monti dello sfondo appartengono a pieno titolo alle correnti divisioniste del tardo ottocento, la posa delle fanciulle che simboleggiano le ore del mattino sembra indicare un’ansia di movimento propria dei futuristi e le frange delle loro vesti, mosse dal vento, sono parimenti un inequivocabile indizio di un progressivo cambio della visione pittorica dell’artista. In sintesi, con le “Ore del mattino” Segantini sembra voler dare un addio al mondo dell’arte ottocentesca, per aprirsi a nuove sensazioni pittoriche, non ancora visibili ed affermate ma già cogenti nel suo animo.
ANTONIO SANT’ELIA
Il mondo futurista vede la presenza di numerosi esponenti dell’architettura. Fra questi riveste una particolare importanza Antonio Sant’Elia, autore di progetti visionari e monumentali, diretti alla realizzazione di un nuovo modello di città. Purtroppo questi suoi elaborati avveniristici, che in molti casi hanno preceduto gli stilemi dell’architettura del dopoguerra, non furono mai realizzati, anche e (forse) soprattutto per la sua morte prematura.
Case comunicanti con ascensori e ponte esterno:
la sua idea di architettura parte dalla visione di una città estremamente industrializzata e meccanizzata che non considerava l’esistenza di una pluralità di edifici singoli ma una immensa concatenazione urbana “multi-livello”, collegata al centro. In altre parole, gli edifici dovevano essere tutti uniti fra loro per collegare in modo funzionale ed efficiente tutte le attività della città. Il suo progetto, esposto a Padova, ci mostra un enorme grattacielo monolitico, con enormi terrazzi, ponti, passerelle ed aree comuni; tutti concetti che, poi, sono diventate linee fondanti dell’architettura moderna.
Con quest’opera/progetto si è chiusa la panoramica presentata da Carla, un’esposizione indubbiamente essenziale per tutti coloro che si avventurereranno in una visita a Palazzo Zabarella, ma altrettanto importante per chi, non potendovi andare, perderà l’incanto di una visione del mondo che, tutt’ora, può essere definita con l’appellativo “uno sguardo sul futuro”.