Lo scorso 18 giugno verrà ricordato da tutti i Soci di Magna Grecia per una serie di motivazioni in parte contrastanti:
- il ricco menù, preparato dall’ormai noto ristorante Belvedere di Montegrotto;
- la presenza di illustri personalità della cultura;
- la splendida esibizione offerta dagli “Inesistenti”;
- lo spettacolo di danza orientale presentato da un folto gruppo di “odalische”;
- le esiziali conseguenze dovute ad un ospite indesiderato, il COVID, che ha falcidiato gli aspiranti ad “un posto a tavola”, costringendoli a restare segregati a casa e determinando ampi spazi vuoti nella sala del ristorante.
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Solo 75 (settantacinque) i presenti (un dato anomalo per Magna Grecia che normalmente conta su un numero di habitué decisamente superiore) che hanno potuto godere di una serata veramente speciale, magistralmente diretta dalla Presidentessa Carla Liguori.
Trascurando l’aspetto gastronomico, non perché poco importante ma perché, come al solito, di quel livello decisamente superiore al quale i frequentatori di Magna Grecia sono abituati, si può dire che la serata è iniziata con un’importante presenza culturale, quella del Dottor Vincenzo Faggiano, laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Padova, che ha presentato la Sua ultima opera letteraria, il romanzo “Vite senza tempo”, trasposizione in prosa del suo dramma lirico “La serva di Padova”. Per completezza di informazione, si precisa che, oltre che in Italia, il dramma è andato in scena in vari teatri europei ed ha raggiunto Broadway, presentato nel 2017 presso il National Opera Centre.
Diciamo innanzitutto che sono opere che dimostrano la perfetta simbiosi storico-culturale raggiunta dall’Autore, di origini campane, con il “mondo veneto”, quale traspare dalle vicende che vengono narrate e che vedono in azione quattro personaggi: Marsilio della famiglia dei Carraresi, ucciso nei primi anni del ‘400 dai Veneziani, e la sua lontana erede, ormai in rovina ed in attesa di perdere la proprietà del vecchio palazzo in cui abita che è gravato da ipoteche che porteranno alla sua confisca da parte della banca creditrice. I due personaggi sono affiancati dalle rispettive domestiche, entrambe di nome Bettina. In particolare le due serve sembrano quasi rappresentare il forte legame, la continuità esistente fra il momento attuale e la nostra storia più recondita. Le tragiche esistenze di Marsilio e della sua Bettina trovano una loro ideale compensazione nelle attuali vicende della vecchia contessa e della Bettina moderna.
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Dalla narrazione appaiono evidenti anche due accostamenti; uno allegorico/economico fra l’antica Venezia, che viveva di puro commercio e che conquista Padova, e le odierne banche che esistono grazie a pure operazioni finanziarie e che vogliono appropriarsi del palazzo in cui vive la vecchia erede di Marsilio. Il secondo accostamento è centrato sul permanere della violenza che, nel passato, ha segnato la storia della famiglia della contessa e che si ripete con un significativo parallelismo nell’atteggiamento persecutorio dell’attuale società nei suoi confronti.
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Il secondo momento culturale della serata è stato segnato dalle presenza della coppia Martino e Mario, della notissima Compagnia degli Inesistenti, che si sono prodotti in due monologhi, concettualmente diversi ma parimenti affascinanti.
Martino ha dato vita al protagonista di un celebre brano di Jean Cocteau, Le Menteur (Il bugiardo), che trova il suo fondamento in una famosa frase dell’autore: “Il poeta è un bugiardo che dice sempre la verità”. La voce narrante, nel considerare drammaticamente che “la verità cambia aspetto ….. e crea la paura di essere ridicolo”, svela la sua natura di mentitore cronico e porta gradualmente l’uditore ad ammettere la sua noia per la verità e il piacere che prova nel proferire menzogne.
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Il secondo monologo (scritto dallo stesso Mario Simonato), intitolato Edipo, si è subito rivelato come un complesso e fantasmagorico “grammelot”, composto da parole in italiano (moderno e antico), latino e veneto che racconta, rivivendoli, i difficili rapporti di Edipo con il padre, la madre e la società nel suo complesso. Il narratore ha dimostrato anche la sua flessibilità nelle vesti di “scorrazzatore”, capace di interpretare contemporaneamente i vari personaggi rappresentati nella piece. Ovvi gli scroscianti applausi che, al termine delle performances, sono stati tributati ai due interpreti.
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In attesa che venisse servito il dolce è comparsa sulla scena la Signora Caterina Ruzzon, con la sua Scuola di Danza Orientale. Iniziamo con alcuni dati pseudo - storici: ricordiamo che la Danza Orientale non nasce per essere uno spettacolo che allieta gli uomini, bensì come una danza delle donne per le donne, che si ricollega ad antichissimi culti religiosi legati alla Madre Terra. Le sue origini sono quindi sacre: un culto con cui si propiziava e si celebrava la fertilità nelle antiche società matriarcali della Mesopotamia; la sua natura veniva quindi associata ad una femminilità-fertilità e non vissuta come sensualità. È la celebrazione della vita e del femmineo, in tutti i suoi aspetti, ed al giorno d’oggi è più conosciuta con il nome di “danza del ventre”. Il termine fu coniato erroneamente ai tempi di Napoleone che con la dicitura “dance du ventre” classificò tutti i balli in cui le ballerine si esibivano con l’ombelico scoperto. In realtà, il termine più corretto per questa forma d’arte è quello di “danza mediorientale”, in arabo RAQS SHARQI. Peraltro si deve rilevare come anche il nome attribuito dagli europei avesse un’indubbia valenza. Nell’antica tradizione dell’Estremo Oriente il plesso solare, collocato leggermente al di sopra dell’ombelico, è considerato il vero e proprio punto centrale del nostro corpo, dal quale vengono distribuite le energie fisiche ed emozionali. Inoltre, l’ombelico, unico punto di contatto sul piano fisico tra la madre ed il nascituro, viene considerato un punto di scambio energetico tra il mondo interno ed esterno.
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Ma torniamo all’esibizione artistica che è stata articolata in due momenti; nel primo un corpo di ballo composta da otto “odalische” ha dato vita ad una scenografia, alla quale il mondo occidentale non è abituato, fatta di movimenti spontanei e naturali, con i piedi, strettamente connessi con il suolo, senza sfidare la gravità con grandi salti, giravolte e movimenti acrobatici, come siamo abituati a vedere nelle esibizioni dei nostri corpi di ballo. La stessa grazie e naturalezza ha contraddistinto la seconda esibizione di due giovanissime ballerine che hanno incantato gli astanti con le loro movenze costantemente dolci e sinuose.
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Ovviamente la serata è stata allietata da un piacevole sottofondo musicale offerto dal Complesso “Stefania in Musica” che, non solo ha accompagnato la cena, la consegna a tutti i Soci intervenuti del nuovo distintivo di Magna Grecia e la presentazione di 5 nuovi “affiliati” all’Associazione (di cui si omettono i nomi per motivi di privacy) ma – nonostante il caldo – ha permesso a molti di scatenarsi in balli che non avevano nulla dei suadenti ritmi orientali ma che riportavano al nostro più frenetico mondo moderno.
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