Nonostante i tentativi (per ora andati a vuoto) di alcuni burocrati di Bruxelles volti a cancellare la parola, anche quest’anno Magna Grecia da deciso di celebrare il Santo Natale così come vuole la nostra tradizione. Una consuetudine, quella del Natale, consolidatasi nel corso dei secoli e che, ormai, fa parte della nostra cultura, anche se la sua classificazione come “festività cristiana” non appare giustificata dalla storia.
Secondo molti studiosi le origini sia del nome della ricorrenza sia della data in cui si celebra devono essere ritenute pagane.
Ad esempio la scelta della data 25 dicembre, potrebbe essere ricondotta alla festa del Natalis Solis Invicti. Si trattava di una festività che i Romani erano soliti celebrare durante il periodo del solstizio d’inverno in onore del dio Mitra.Ma alle origini del Natale sono collegate anche altre teorie.
Infatti il 25 dicembre è la data in cui veniva festeggiata la nascita di Osiride e di suo figlio Oro in Egitto. Ed è anche il giorno in cui si celebrava il dio Tammuz in Babilonia, figlio della dea Ishtar. Questa, in alcune rappresentazioni, veniva effigiata con il bimbo in braccio e un’aureola di dodici stelle.
Inoltre, sempre i Romani erano soliti celebrare tra il 17 ed il 24 dicembre i Saturnali, in onore di Saturno, il dio dell’agricoltura. Si trattava di festeggiamenti che prevedevano lo scambio di doni e l’allestimento di banchetti.
La prima menzione certa del Natale cristiano con la data del 25 dicembre risale al 336 e appare nel Chronographus, un calendario illustrato opera del calligrafo Furio Dionisio Filocalo. Probabilmente, come già accennato, la data fu scelta per sostituire la festa del Natalis Solis Invicti con la celebrazione della nascita di Cristo, che Malachia definì come il nuovo “sole di Giustizia”. In sintesi, possiamo dire che il Natale costituisce il caso probabilmente più significativo di assorbimento da parte del cristianesimo di un culto che i Romani avevano, a loro volta, assimilato da altre religioni.
Comunque sia, da circa 1.700 anni il Natale è diventato un momento eccezionalmente rilevante per tutta la cristianità, un momento la cui intensità sacrale non viene scalfita dalle manifestazioni consumistiche che, soprattutto ai giorni nostri, lo accompagnano.
Per celebrare questa sacralità la Presidente di Magna Grecia, Carla Liguori, ha organizzato per tutti i Soci un’occasione di incontro che, sia pure nella serenità che lo ha contraddistinto, ha implicitamente invitato tutti i presenti ad un attimo di riflessione, di introspezione personale. Intento intelligentemente perseguito attraverso le performances di artisti, spesso improvvisati, che hanno dato vita a happenings di vario genere e di contenuto contrapposto, che non potevano non indurre a meditazioni più profonde.
Tutto è iniziato con la recita di alcuni brani di una delle opere più famose di Pirandello, Il berretto a sonagli, una piece magistralmente interpretata/sintetizzata dalla compagnia Gli Inesistenti , che dipinge una società che obbliga gli individui ad apparire rispettabili, seguendo precisi codici di comportamento. Una società in cui tutto è permesso, a patto che si salvino le apparenze, e che viene drammaticamente sintetizzata dall’amara, tragica risata finale di Ciampa che esprime, ad un tempo, rabbia, selvaggio piacere e disperazione.
L’uscita dalla drammatica dialettica pirandelliana ed il ritorno ad un clima più disteso è stato ottenuto con la visione di immagini del Natale nelle opere di vari grandi artisti, momento in cui Carla ha manifestato tutta la sua competenza commentando, anzi, facendo rivivere a tutti le atmosfere, il pathos che promana dalle Natività del Tintoretto, del Correggio, del Beato Angelico o di Caravaggio, Leonardo, Previati, etc., opere che potremmo definire immortali, per la loro capacità di esprimere la sacralità di un momento “magico” per la cristianità come la nascita del Cristo.
Ma, poiché il tema del “principio della vita” non poteva non richiamare alla mente il suo opposto, l’esposizione dei quadri è stata seguita da una poesia, A livella, letta da Antonietta Scarpati, che affronta, con l’ironia tipica di Totò, il tema della morte, ricordando come, al di là delle professioni e posizione sociale che occupiamo in vita, in fondo, davanti all’ultimo passo siamo tutti uguali ed umani. Di una bellezza e semplicità senza pari le parole del misero spazzino che cerca di placare l’ira dell’anima del visconte accanto al quale è stato sepolto:
" Perciò, stamme a ssenti… nun fa' o restivo, suppuorteme vicino - che te ‘mporta? Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie… appartenimmo à morte! "
Alla leggerezza di Totò nell’affrontare un tema serio come la morte è seguito un nuovo ritorno al Natale visto attraverso una poesia di Quasimodo sul presepe, recitata da Rosalba Pistorio. Il poeta osserva il presepe e vi trova pace, silenzio. Tutto è al proprio posto, mentre l'uomo non è mai in pace con se stesso e con i propri simili. La poesia è quindi un paragone che mostra due situazioni opposte: il presepe con la sua pace e la vita degli uomini.
Alla fine, il poeta chiude la poesia con una riflessione amara, attraverso una domanda diretta:
" Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino che morirà poi in croce fra due ladri? "
Il punto è proprio questo. Tutto è bello e pieno di pace e amore nel presepe, ma alla fine chi è che sente propria quell'atmosfera?
Alle poesie hanno fatto seguito alcuni proverbi e poesie dialettali a tema natalizio recitate da Lorenzo Giannetta.
Le performances si sono concluse con l’esibizione alla chitarra hawaiana di Gianni Pistorio (ottima esibizione – dice di essere un docente di informatica, ma probabilmente suona in qualche complessino pop).
Infine con l’ascolto di alcuni brani di squisito sapore natalizio eseguiti da vari Soci di Magna Grecia.
Fra questi ha fatto spicco l’interpretazione di una professionista del canto, Maria Carla Deiana Ossino, facente parte di una corale nota a livello nazionale.