Anche questa volta circa 120 ADEPTI di Magna Grecia si sono riuniti attorno a Carla, la loro “guida”,non solo per il tradizionale scambio degli auguri di Natale, ma anche per seguirla in un difficile percorso che, partendo da Dostoevskij e dalla sua “Leggenda del Grande Inquisitore”, li ha portato ad interrogarsi sulla figura del Cristo e sulla Sua spiritualità.
Quale guida in questo difficile percorso è stata scelta la Professoressa Franca Bacco, Dottore di ricerca in filosofia, ha conseguito il suodottorato presso l’Università di Padova, con una tesi su “Abū al-‘Alā’ al-Ma’arrī: tra scetticismo, fede e ascesi mistica”, cioè su un poeta, filologo e letterato arabo vissuto in Siria fra il 973 ed il 1058. E’ stata altresì relatrice, presso l’Università di Padova, di vari seminari vertenti sul tema “Forme della razionalità e fede nel pensiero antico”. Non potendo riassumere in poche righe un curriculum vario e complesso, passiamo subito alla Sua relazione sul tema.
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Per iniziare, scorriamo rapidamente l’opera di Dostoevskij per comprenderne il significato profondo portato alla luce dalla Professoressa Bacco. Innanzitutto chiariamo che La Leggenda del Grande Inquisitore è il nome dato al 5° capitolo del libro di Dostoevskij “I Fratelli Karamazov”, scritto poco tempo prima della sua morte e considerato da tutti i critici come la sua opera migliore. Si può quindi dire che la Leggenda va considerata come “un capolavoro nel capolavoro”. I personaggi principali del volume sono i tre fratelli Dmitrij, il primogenito, Ivàn e Aleksej, nati in seconde nozze, e il loro vecchio padre, Fëdor Pavlovič, un uomo volgare, dissoluto e capace di momenti di grande astuzia.I tre fratelli odiano il padre e lo vorrebbero vedere morto, anche se l’autore materiale dell’assassinio saràSmerdjakov, figlio naturale di Fëdor e impiegato come servo, che, irretito da Ivàn, ucciderà il padre per poi togliersi la vita per il rimorso. Indipendentemente dalle responsabilità dirette, i tre fratelli sono parimenti tre potenziali parricidi.
Un’ultima notazione sui Fratelli: il loro cognome, Karamazov, non è semplicemente un’invenzione, ma ha un significato particolareche deriva dalla parola dialettale russa karamazyj, tradotta come bruno o scuro. Questo significato potrebbe essere interpretato come una rappresentazione simbolica delle loro nature complesse e oscure, dei loro conflitti interiori e dei segreti che li avvolgono. Il cognome Karamazov, quindi, contribuisce a dare profondità e comprensione ai personaggi dell’opera. Il romanzo che, dalla sua pubblicazione, ha suscitato un plauso generalizzato, è stato variamente commentato da numerosi pensatori dell’epoca. Sigmund Freud, ad esempio, era un ammiratore di Dostoevskij e, infatti, nel saggio “Dostoevskij e il parricidio” scriverà che egli considera il romanzo come uno dei più grandiosi che siano mai stati scritti. Egli inoltre analizzerà lo scrittore tramite il romanzo parlando di una personalità simile a quella di un delinquente o un peccatore dalla forte tendenza distruttiva e autodistruttiva, con aspetti di masochismo auto colpevolizzante. Freud considera in Dostoevskij un «rapporto implicito» col parricidio, rivelato attraverso i suoi personaggi come Ivàn Karamazov in relazione con il fratellastro Smerdjakov: un rapporto vissuto con senso di colpa e ammirazione narcisistica. Ma veniamo alla “Leggenda del grande Inquisitore”, cioè al racconto di Ivàn al fratello Aleksej.
“La mia azione si svolge in Spagna, a Siviglia, al tempo più pauroso dell’inquisizione quando ogni giorno nel paese ardevano i roghi per la gloria di Dio e con grandiosi autodafé si bruciavano gli eretici.” La “Leggenda” si apre con queste parole che ne definiscono chiaramente l’ambito: Spagna – periodo dell’Inquisizione.Questo è l’ambiente nel quale, 15 secoli dopo la Sua morte, ricompare il Cristo. Non viene mai menzionato per nome, ma sempre chiamato indirettamente. Pur comparendo furtivamente, viene misteriosamente riconosciuto da tutti, il popolo lo acclama come salvatore, tuttavia egli viene incarcerato per ordine del Grande Inquisitore, subito dopo aver realizzato la resurrezione di una bambina di sette anni, nella bara bianca ancora aperta, pronunziando le sue uniche parole di tutta la narrazione: "Talitha kumi" (espressione che, in aramaico, significa “fanciulla alzati”). L’inquisitore, che si contrappone al Cristo, è «un vecchio di quasi novant'anni, alto e diritto, con il viso scarno e gli occhi infossati, nei quali però riluce una scintilla di fuoco.”. Riconosce il Messia ed inizia un lungo monologo, in cui rimprovera a Gesù di essere tornato sulla terra a mettere in pericolo il progetto della Chiesa volto a stabilire le regole per una pacifica convivenza tra gli uomini. L’ideale evangelico di libertà – sostiene l’Inquisitore – è troppo duro per la maggior parte degli esseri umani, condannati alla inevitabile dannazione e dunque all’infelicità. Proprio questa considerazione deve spingere ad abbandonare l’ideale evangelico e a prendere parte al progetto di concedere almeno la felicità terrena ad un’umanità comunque incapace di raggiungere quella eterna.
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La figura dell’Inquisitore serve a ricordarci la sproporzione tra le “pretese” di Cristo e le nostre capacità, di qui il rimprovero al “prigioniero” di aver sopravvalutato l’uomo: non siamo abbastanza forti per amare. Solo alcuni, cui è stata concessa una grazia particolare, lo possono fare. La Chiesa si occupa degli altri. La fine della lunga requisitoria dell’Inquisitore è segnata da un atto di Cristo che “…… si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ed ecco tutta la Sua risposta. Il vecchio sussulta. Gli angoli delle labbra hanno avuto un fremito; egli va verso la porta, la spalanca e Gli dice: “Vattene e non venir più... non venire mai più... mai più!”. E Lo lascia andare per “le vie oscure della città”. Il Prigioniero si allontana.” Anche la chiusura della Leggenda suscita domande che vengono spontanee. Perché Cristo bacia l’Inquisitore? Perché riconosce che la Chiesa da Lui fondata ha fallito la sua missione? O è un atto d’amore da trasmettere a tutta l’umanità? Perché l’Inquisitore libera Cristo, permettendogli di continuare a diffondere la sua parola? Perché anche lui è colpito da quell’ideale di amore universale che è indubbiamente vincente? E, infine, perché Dostoevskij inserisce nel suo racconto un episodio complessivamente estraneo all’evolvere della vicenda dei fratelli Karamazov, un episodio a sé stante che apre interrogativi affascinanti ma che non appartengono all’evolvere della trama?
Non è facile risolvere questi interrogativi; i critici di tutto il mondo hanno tentato di rispondere, giungendo spesso a soluzioni antitetiche. In questo contesto,chiedo scusa a tutti. Riassumere i temi dell’intero romanzo di Dostoevskij, o della “Leggenda”è sicuramente un’impresa superiore alle mie forze. La bibliografia sull’argomento è sterminata, e le mie poche righe sicuramente non aggiungeranno nulla. Mi sono limitato ad ascoltare con attenzione le parole della Professoressa Bacco ed a cercare, successivamente, di approfondire gli argomenti toccati. Sicuramente non sono riuscito a comprendere ed a trasmettere i profondi significati delle parole dell’Autore ma Vi prego di accontentarvi delle mie banali considerazioni.
Alla fine della relazione c'è stato un intervallo musicale con la steel guitar di Gianni
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Il vicepresidente Antonino Scuderi ha invitato il tesoriere Carmelo Lo Bello ha illustrare l'attività dell'Associazione 'Medici in strada' di cui lo stesso Lo Bello è presidente.
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